Tornavo da un lungo giro che avevo dovuto fare, alla ricerca di qualcosa che non ero riuscito a trovare. Scendevo dalla collina in direzione del mare e, in lontananza, nella bruma mattutina, prima che si levasse il sole, o meglio, il sole si era già alzato, ma non era ancora arrivato in quel punto della terra.
Ebbene, dicevo, mi trovavo a nord del colle e vedo salire una carretta, tipica degli zingari, con un cavallo davanti che tira e uno attaccato dietro, che sembra che spinga. A cassetta c’é un giovane ragazzo e di lui mi ha colpito la tristezza del suo sguardo. Mi ha fissato solo per un attimo, però è stato sufficiente per farmi pensare:
– Dove sto andando e cosa sto facendo?
Io in automobile che sto scendendo, lui sul carro trainato dal cavallo, che arranca in salita, dove starà andando e cosa farà quando arriverà a destinazione?
– Perché quello sguardo triste?
Alla mia età, è facile rispondere alla domanda che mi rivolgo, perché nella relativa tranquillità della mia esistenza, sto tornando verso casa mia, dove mi aspetta la mia compagna, sicuramente ansiosa nell’attesa.
Lei mi vuole bene e sempre è preoccupata quando esco di casa.
Lo si vede perfettamente, quando mi vede rientrare.
Ascolta sempre ogni rumore che viene dalla strada.
Vuole sempre sapere più o meno l’ orario del mio rientro e quanta angoscia leggo nei suoi occhi quando ritardo. Sempre mi accoglie con un bacio.
Il sollievo che sento sulle sue labbra, mi commuove sempre e mi rasserena l’ anima ogni suo abbraccio.
Come si vede, per me è tutto chiaro, scontato e meraviglioso.
Mentre il dilemma che mi assilla e che mi sconcerta, è lo sguardo di quel ragazzo zigano. Non riesco a farmene una ragione.
Il sole quella mattina, abbastanza fresca, senza che facesse il grande freddo del mese di gennaio, quel sole spettrale, con quella luce di platino, fredda ed abbagliante. Si affaccia sopra una striscia di nuvole nere, che da alcuni giorni si aggirano indolenti e minacciose sopra la distesa profonda e verde del mare, nuvole che corrono qua e là nel disordine del vento.
Ecco, forse ora capisco. Il ragazzo aspettava il sole e saliva tristemente verso la cima della collina, già illuminata e splendente nei raggi tiepidi e confortevoli. Mi sembra di vederlo, il suo viso si illumina. Si ferma un momento, lascia riposare i cavalli prima di intraprendere la discesa dall’ altra parte . Si stiracchia voluttuosamente le membra, ancora indolenzite dall’ umidità dell’ aria della salita, in mezzo agli aranceti che ricoprono la collina e ammirando estasiato il risveglio della natura nella valle sottostante.
Chissà se nella sua straripante giovinezza, sa apprezzare tutte queste belle cose, che io nella mia maturità, riesco a pregiare, con l’esperienza di una vita intensa dietro di me.
Quello che posso augurargli è, che si renda conto che la sua vita è all’ inizio e che tutto il bello deve ancora arrivare. Spero solamente che non si scoraggi e si perda nei meandri di questa vita piena di insidie e di malvagità.
Sappia evitare i tranelli che il mondo pone come inciampo ai nostri passi, a volte senza pensare alle nostre responsabilità, compiamo degli atti indegni.
Facciamo in modo, sempre con coscienza, di obbedire a chi ci guarda dall’ alto e che un giorno dovremo rendere conto del nostro operato.
Forza amico mio, cammina sempre dritto sulla via che ti è stata indicata e non deviare mai, né a destra né a sinistra.
Aurelio Delmenico, 1997