Questi i quattro pilastri su cui si fonda il metodo: Cosa è importante per me? Sono informato bene?
Cosa voglio o rifiuto? Chi parlerà per me nel momento in cui io non potrò più farlo
ll desiderio di ogni persona bisognosa di cure è che queste possano essere incentrate su di sè e rispettino le sue volontà. Questo auspicio diventa un imperativo nell ’anzianità. Quasi in ogni paese del mondo, come in Svizzera, la popolazione anziana sta aumentando. Ai nostri giorni non citiamo solo la terza, ma addirittura la quarta età. Ma chi sono questi grandi anziani? Sono persone over 80-85 anni, che pur molto differenti fra loro, spesso manifestano il peso degli anni con un declino delle capacità fisiche, delle capacità cognitive e funzionali. Spesso hanno diverse patologie concomitanti e una ricca terapia farmacologica. Sono globalmente fragili, maggiormente vulnerabili agli stress. Basta poco per far peggiorare in maniera impor tante la situazione. Richiedono soventemente la super visione o l ’assistenza di familiari e curanti professionisti. La sfida in queste situazioni così complesse è il mantenimento della qualità di vita: controllo dei sintomi, anticipazione delle problematiche, conservazione del miglior grado di autonomia possibile. La presa in carico di queste situazioni è multidimensionale. Difficile anche individuare il punto di “non ritorno”, che faccia propendere per un approccio puramente sintomatico e di palliazione. Indici spesso impor tanti sono: un declino franco delle funzioni vitali, la comparsa di infezioni o ricadute ricorrenti di una delle malattie di base, che non rispondono più adeguatamente alle terapie proposte. Come scrive il Prof. Giorgio Noseda nel suo libro “Una finestra nella tua casa” – edizioni Capelli, “Quando si è colpiti da una grave malattia che non concede speranze di guarigione, sorgono inevitabilmente molte domande, alle quali è difficile dare una risposta. Quanto tempo mi rimane? Cosa potrò fare ancora nel tempo che mi resta? Potrò ancora esaudire i sogni coltivati da tempo? Posso sperare in un miracolo? Devo rassegnarmi all ’evidenza? Tenterò tutte le terapie offerte dalla scienza? Chi mi sosterrà nel mio cammino? Chi mi aiuterà a regolare tutte le mie pendenze? Chi assisterà i miei cari quando non ci sarò più? Dovrò soffrire? Cosa mi succederà alla fine?”. La persona va correttamente informata, vanno raccolti i suoi desideri, indagati i suoi valori, raccolte le sue memorie. Consapevoli che raramente l ’anziano decede improvvisamente, spesso si va incontro a un graduale aumento della dipendenza e del bisogno di assistenza. Inoltre in parallelo all ’aumento dell’aspettativa di vita media, aumenta la probabilità che subentri un declino cognitivo. La persona non potrà più esprimersi in merito a quello che avrebbe desiderato e questo onere sarà delegato al suo rappresentante o familiare. Spesso si sente parlare di direttive anticipate ma queste non sono sempre sufficienti a dipanare tutti i dubbi. Qui si inserisce il concetto della Pianificazione Anticipata delle Cure (ACP). Nel contesto dell’ACP ci si propone tramite dei colloqui appositi condotti dal medico o da personale formato, di permettere al paziente di esporre le sue preoccupazioni e i suoi desideri per il momento in cui non sarà più in grado di farlo. Sono 4 i pilastri su cui si fonda questo metodo dialogico: Cosa è imporante per me? Sono informato bene? Cosa voglioo rifiuto? Chi parlerà per me nel momento in cui io non potrò più farlo? Il paziente torna al centro; la sua autonomia diventa prioritaria in questo contesto. Vengono verificate le sue conoscenze e scelto il rappresentante terapeutico ovvero quella persona che, nel momento in cui il paziente non potesse rispondere, saprebbe esprimere le sue volontà. Vengono indagati anche i desideri più nello specifico: Vorrebbe essere rianimato? Alimentato artificialmente? Essere “attaccato a un respiratore”? Una pianificazione anticipata delle cure ha grandi benefici; innanzitutto la persona stessa è più serena ma allo stesso tempo anche il rappresentante terapeutico e la famiglia si sentono più sostenuti e meno caricati nelle decisioni che si troveranno a sostenere. Le scelte saranno condivise e questo ridurrà i potenziali conflitti. La qualità di vita del malato non potrà che trarne beneficio. Quando sarebbe bene iniziare con la ACP? Quando, a titolo di esempio, i momenti problematici si fanno più frequenti. La fragilità si fa più evidente, si susseguono i ricoveri, vi sono cadute ripetute e aumenta il bisogno di assistenza. Quando subentra un declino cognitivo o, nelle malattie oncologiche, quando vi è una progressione di malattia (ad esempio con delle metastasi).
Dice il filosofo danese Soren Kerkegaard, ripreso nel libro Saper Morire di G.D. Borasio, edizioni Bollati Boringhieri: “Quando si vuole riuscire ad aiutare qualcuno, bisogna innanzitutto cercare di trovarlo nel luogo dove si trova e qui cominciare. Questo è il segreto dell ’arte del soccorso. Chi non ne è capace, s’illude di poter aiutare qualcuno. Per poter dare una mano ad un altro, devo capire più su di lui ma innanzitutto e soprattutto quel ch’egli capisce.”