Il bellissimo libro fotografico di Katja Snozzi
100 ritratti di centenari svizzeri
“Jahrhundertmenschen – Anime centenni – Personnages d’un siècle – Fatschas centenaras”
Ci tengo a segnalare questo bellissimo libro d’arte di Katja Snozzi che propone 100 ritatti in bianco e nero di 100 centenari svizzeri. Le immagini sono introdotte da quattro noti scrittori svizzeri, ciascuno nella rispettiva lingua nazionale (Alberto Nessi, Alex Capus, Iso Camartin e Amélie Plume). La prefazione è stata scritta della consigliera federale emerita Ruth Dreifuss.
Maggiori informazioni su Katja Snozzi e sul libro le trovate sul sito www.katjasnozzi.ch
Qui di seguito vi proponiamo il bel contributo dello scrittore Alberto Nessi
Non avviarti mite in quella
buona notte, la vecchiaia
Dovrebbe ardere e urlare al
termine del giorno;
Infuriare, infuriare al morire
della luce.
Dylan Thomas
La vecchiaia è un grappolo assecchito? O è il racimolo che lascia la vigna dopo la vendemmia, il riflesso dorato dei pampini prima del gelo, l’estremo barbaglio? Per Giuseppina è racimolo, riflesso, barbaglio. Ride ancora nei suoi occhi la luce degli acini d’uva. Anche se lei cambia le carte in tavola: mi mostra un suo ritratto fotografico e dice:
– È mia mamma.
Fa un po’ di confusione, ma ad anni centoquattro può permettersi di scambiare le parti della recita, fantasticare, pensare al suo passato come a una storia inventata. E forse è proprio così e ha ragione lei: noi siamo un po’ nostra madre e nostro padre e la nostra vita è il racconto di un sogno.
La casa per anziani che la ospita dà sul lago; e così le donne e gli «uomini, alla fine della loro navigazione possono guardare l’acqua che giunge sulla riva dopo aver mescolato correnti, depositato detriti sotto un grande salice e portato via i brutti pensieri. No, Giuseppina non ci pensa, alla morte: ha sempre fame.
Il grande cielo sopra il lago c’interroga, seduti al tavolo della terrazza. Se alzo gli occhi, vedo la chiesa di Vico Morcote, “Bella come nessuna altra cosa da me/vista nella Svizzera o fuori”, dice il poeta William Carlos Williams: ma chissà se l’ha vista davvero o se l’ha solo immaginata quella chiesa (la poesia s’intitola “Foto a colori in un calendario commerciale”). Non importa: a contare è il risultato. I poeti lavorano d’immaginazione, come Giuseppina. Anche lei, l’anima centenne che sono venuto a trovare, ha i suoi voli pindarici. Ora ha tempo per le fantasticherie, guarda la chioma del salice piangente che si muove al vento e nella quale, attenti, ora s’impiglia un angelo di passaggio. Le onde vanno e vengono, la luce se ne sta andando e forse domani mattina ritornerà. Forse…
Adesso guarda me, con quegli acini ancora lucenti sotto capelli azzurrati. Mi dice: – Che begli occhi! – Una cosa che diceva ai suoi innamorati tempo fa, quand’era capra e farfalla. Adesso è guscio di noce senza gheriglio. Leggera, naviga nella memoria. Le pare d’essere ancora al ristorante Navegna di Locarno: in un angolo c’è il verticale, si buttano venti centesimi nella fessura e via! Il valzer comincia. Ma era proprio Locarno? Ed è lei quella ragazza con la gonna a balze, una gonna che nei giri di valzer fa la ruota intera, lei scappata di casa per la sagra?
Del suo paese in collina ricorda i muli, i pidocchi che la maestra le schiacciava tra i capelli, la sorella morta dopo aver mangiato funghi matti, il battipanni della mamma quando tornava dalle fughe amorose.
– Dopo i cinquanta volano, – dice – la vita l’è un boff. Che cos’è il tempo per un’anima centenne? Tutto è passato, il futuro non c’è. E il presente? Il presente è fatto di ore tutte uguali, senza sorprese. Ma sì, una sorpresa c’è: il piacere di sbucciare un mandarino, il mal di schiena che oggi tace, il ramo fiorito fuori dalla finestra. O le bacche della rosa canina che il vento fa tremare.
Lì, in quel tremito, è racchiusa la vita. Giuseppina entra nell’ondeggiare del cespuglio, diventa un po’ quel mazzetto di bacche. I vecchi subiscono delle metamorfosi. Nel loro viso rimane un’eco dei boschi, delle strade, delle acque della loro gioventù. Un’eco di quei paesaggi: macchie di malva, foglie secche, ombre d’onde, declivi rocciosi, cortecce screpolate. Frammenti di vita. Essere vecchi significa saper cogliere quell’eco, quei fremiti, quei barbagli. Come fa, forse, Giuseppina.
Gli uccelli tacciono: se ne sono andati?
Domani torneranno, forse. Anche il ricordo può essere una sorpresa: c’era quel guidatore dell’autopostale che, quando passava davanti a casa, suonava per lei le tre note del Guglielmo Tell di Rossini. Tre note, tre parole, “ta vòri ben”. Era il suo segnale. E lei si affacciava alla finestra a salutarlo…
Giuseppina ama il ballo. L’ultimo valzer l’ha ballato a cent’anni; ma adesso ha un momento di malinconia. Altri ricordi arrivano con le onde della risacca sotto il grande salice. L’è morta la Nina, l’è morta la Caterina, la Maria l’è pü domà un strasc.
Si mette a canticchiare:
Aveva un occhio di legno
ed una gamba di gesso
a me piaceva lo stesso
perché sapeva baciar…
L’occhio di vetro della canzone con gli anni è diventato di legno: ecco una metamorfosi, libertà poetica che si concedono le anime centenni, finalmente libere di reinventarsi la vita.
Finito l’incontro, si fa accendere la sigaretta da un compagno di vecchiaia, come faceva da giovane dopo il ballo al ristorante Navegna, nascosta tra le vigne con l’’innamorato. Ora ci guarda con i suoi acini, come per dire: – Scusatemi se sono diventata così vecchia. Non avrei mai pensato.
Lascio la casa per anziani sulla riva del lago e ripenso all’incontro. Giuseppina sembra che si scusi di essere ancora viva, come se si sentisse in colpa. Forse si sente ciottolo levigato dall’acqua e trascinato dalla corrente sulla riva del lago. Eppure i suoi occhi sono ancora luminosi. Nella sua parlata la malinconia convive con l’allegria, nel ciottolo lampeggiano luccichii di mica. La sua vitalità si è fatta sottile, rarefatta, volatile e in lei prevalgono l’anima, l’interiorità, la leggerezza.
Ma come fa a tener lontano il sentimento di estraniamento, il desiderio di andarsene che si trova spesso nei vecchissimi? Lei ricorda i balli, i morti, il battipanni della mamma. Vive nel passato.
Finite le lotte quotidiane, ha tempo per ritirarsi in se stessa, per riascoltare le parole sepolte nella memoria. Il presente si rivela a lei con la voce del salice e degli uccelli che vede dalla finestra, che incontra nelle sue brevi passeggiate. Dunque il Bello le fa ancora cenno e l’Universo delle cose minori ha ancora occhi per lei.
Tra i due estremi della vecchiaia, la soddisfazione di sé e la disperazione, Giuseppina sceglie una terza via: la mite accettazione del destino. E la sua anima più che centenne centellina gli ultimi sorsi di luce, quella dei racimoli lasciati dalla vendemmia.
Alberto Nessi